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Battlezone, una linea vettoriale verde che ha tracciato il futuro dei videgiochi

Tipologia: Simulazione bellica in grafica vettoriale
Luoghi di nascita: Studi di sviluppo ATARI
Personaggi chiave: Ed Rotberg, Roger Hector
Data di uscita: 1980
Sfera culturale di influenza: Guerra Fredda
Provenienza: Stati Uniti

Nel corso degli anni settanta il settore dei videogiochi passa dall’essere solo relegato al mondo della sperimentazione accademica e militare, come nel decennio precedente, al trasformarsi in una vera e propria industria commerciale, diventando sempre più importante nel macro cosmo dell’intrattenimento. All’inizio del nuovo decennio ormai il settore si è consolidato, e stanno nascendo fenomeni culturali che ancora oggi vengono ricordati e dall’importanza storica notevole.
Tra questi spicca un’;opera unica e visivamente iconica di un passato retro-futurista ed artistico ormai iconico, stiamo parlando di Battlezone di Ed Rotberg. Nato nel 1980, mentre l’industria dei videogiochi sta muovendo i suoi primi passi verso una nuova maturità tecnologica e culturale, il titolo viene presentato da ATARI, azienda che, di fatto, quell’industria, perlomeno dal punto di vista commerciale, l’ha creata. Un titolo destinato a lasciare un segno profondo nella storia del medium:

L’evocativa grafica vettoriale formata da linee verdi ed informazioni in rosso

Battlezone, la rivoluzione vettoriale 3D nelle sale giochi
Novembre 1980, una data storica. ATARI rilascia nelle sale giochi statunitensi qualcosa di completamente nuovo e mai visto prima, Battlezone apparentemente è un semplice gioco arcade ambientato in un campo di battaglia futuristico, ma pone le basi invece di una rivoluzione silenziosa, capace di anticipare concetti di grafica tridimensionale e di simulazione che sarebbero diventati centrali nell’industria solo molti anni dopo. Sviluppato dal visionario Ed Rotberg, con un team di sole sei persone, incluso il grafico dell’artwork Roger Hector, nel 1980 per ATARI ed in particolar modo per l’ormai consolidato e redditizio mercato Arcade, Battlezone riprende il concept del vecchio Combat, titolo del 1977, rendendo però il tutto molto più affascinante grazie ad una grafica interamente tridimensionale ed in prima persona, realizzata con l’innovativa ed accattivante tecnologia della grafica vettoriale. Ma di cosa si tratta? A differenza della grafica raster (o bitmap), che costruisce le immagini come una griglia di punti colorati, la grafica vettoriale descrive le immagini tramite coordinate, segmenti, curve e formule matematiche, con una linea che disegna l’oggetto, come un gesso bianco su una lavagna nera. O verde, nel nostro caso specifico. Esiste però una versione del cabinato anche con monitor monocromatico. Negli anni settanta ed ottanta la grafica vettoriale offre vantaggi decisivi, come un minor carico di memoria rispetto alla grafica raster, allegerendo il lavoro della CPU. Un altro celebre sistema,un paio di anni dopo, verrà basato su questa affascinante tecnologia, stiamo parlando del Vectrex. Le due grandi innovazioni di Battlezone, ovvero questa grafica così diversa dal solito e l’uso della visuale in soggettiva, offrono quindi un ambiente di gioco praticamente unico nel panorama videoludico di quell’anno. Il giocatore si trova ai comandi di un carro armato, immerso in un mondo 3D spettacolare e fantascientifico visualizzato attraverso una grafica vettoriale in prima persona. Un punto di vista nuovo e spiazzante, che contribuisce a rendere l’esperienza sorprendentemente immersiva per l’epoca.

L’edizione in bianco e nero del cabinato mantiene il suo fascino astratto

La spettacolarità derivata da un limite tecnologico del cabinato
La vera innovazione di Battlezone risiede nel modo in cui il gioco simula la profondità. Le linee vettoriali verdi su sfondo nero, che oggi possiamo considerare minimaliste, sono all’epoca una scelta tecnica obbligata dai limiti tecnici dell’hardware, ovviamente non in grado di generare grafica poligonale, ma il risultato è estremamente efficace. Questa impostazione visiva consente una lettura chiara dello spazio ed un senso di distanza mai visto prima in sala giochi. Non si tratta più di muovere un personaggio su un piano bidimensionale, ma di orientarsi in uno spazio che rende alla perfezione l’illusione del 3D. Il campo di battaglia, il battlefield di Battlezone, perdonate l’assonanza voluta, è delimitato da vulcani stilizzati e punteggiato da nemici iconici, ovvero carri armati avversari, missili guidati e i celebri super tank, più veloci e letali, oggi spesso citati dai videogiochi moderni come curiosità storica. Nei videogiochi arcade a grafica vettoriale, come Battlezone, Asteroids o Tempest, il monitor non scansiona l’immagine riga per riga come un televisore tradizionale. Il fascio elettronico del tubo catodico viene invece guidato direttamente per tracciare le linee sullo schermo, muovendosi da un punto all’altro. Il gioco viene creato da linee estremamente nitide, senza effetto sgranato, con assenza quasi totale di riempimenti ed oggetti che sono semplici scheletri geometrici. I colori necessariamente limitati, spesso un solo tono, come il verde, che in questo caso specifico richiama volutamente i display radar e militari, aumentando il senso di immersione. Dal punto di vista tecnologico, Battlezone si inserisce quindi nel filone delle opere in grafica vettoriale già esplorata da ATARI con Asteroids. Tuttavia, mentre in quest’ultimo lo spazio è astratto e bidimensionale, Battlezone compie un passo decisivo, usando le linee vettoriali per costruire una profondità simulata, organizzata secondo una prospettiva coerente. Il gioco è uno dei primi esempi di mondo di gioco concepito come ambiente navigabile in prima persona, non come semplice piano d’azione. Questo elemento anticipa una
grammatica visiva che diventerà dominante solo un decennio più tardi, con l’avvento degli sparatutto 3D su PC, come DOOM o Quake.

Lo chassis orginale del cabinato di Battlezone del 1980

Un mondo solitario, alieno ed estemporaneo in cui sopravvivere
Battlezone stupisce per il suo game design innovativo, visionario ed accattivante. L’opera rivela una tensione vibrante tra realismo ed astrazione. Il movimento del carro armato è volutamente “heavy drive”, pesante da manovrare, poco reattivo rispetto agli standard moderni, e richiede una gestione attenta dell’orientamento. Questo conferisce al gioco un forte realismo, oltre che un ritmo strategico, quasi tattico, che lo distingue da altri titoli arcade dell’epoca basati su riflessi immediati.
Allo stesso tempo, la totale assenza di una progressione narrativa o strutturale rende l’esperienza ciclica e potenzialmente infinita, fedele alla logica del punteggio e della competizione in sala giochi. Dal punto di vista ludico Battlezone è tanto semplice quanto spietato. Nessuna trama, nessun tutorial, veniamo buttati subito nel pieno dell’azione bellica. Abbiamo davanti solo un radar, il mirino e la necessità di sopravvivere il più a lungo possibile accumulando punti. Una filosofia tipicamente Arcade, quindi, basata sull’immediatezza e sulla sfida pura, che contribuisce a renderle l’opera un classico da “un’altra partita e poi smetto”. Battlezone introduce
anche, nel 1980, una nuova forma di mediazione tra giocatore e spazio di gioco. L’uso del mirino, del radar e del periscopio virtuale richiama esplicitamente l’interfaccia militare, trasformando il giocatore in un operatore più che in un eroe. Non c’è infatti un avatar visibile, alcun personaggio, siamo soldati senza volto. Non c’è caratterizzazione: il soggetto ludico coincide con l’occhio e con la macchina. In questo senso, Battlezone è uno dei primi videogiochi a proporre uno sguardo astrattamente tecnologico sul mondo, in cui la percezione è filtrata da strumenti di controllo e di targeting. Anticipando Internet e la modernità virtuale attuale, ammettiamolo.

Il flyer originale di Battlezone disegnato da Roger Hector

US ARMY WANT YOU, BATTLEZONE!
Il successo di Battlezone nel mercato Arcade è ovviamente immediato, ma ben presto attira non solo l’attenzione dei giocatori tradizionali, ma anche di osservatori ben più istituzionali. Secondo numerose ricostruzioni storiche, il gioco arriva persino ad interessare le alte sfere targate US ARMY! L’Esercito degli Stati Uniti decide infatti di provare a commissionare ad ATARI una versione modificata del gioco, il cosiddetto Progetto Bradley Trainer, per l’addestramento dei reali carristi dell’esercito statunitense. Sebbene l’iniziativa alla fine non abbia avuto un reale seguito operativo, con gioia dei pacifisti, resta uno degli esempi più celebri di intersezione precoce tra videogiochi e vita reale, in questo caso per la simulazione militare. Questo aspetto apre anche a una lettura ideologica del titolo. L’ambientazione bellica di Battlezone è volutamente astratta: non esistono nazioni, né riferimenti geopolitici espliciti. Il tutto potrebbe svolgersi nel futuro, ma anche su un altro misterioso pianeta non umano. Non sappiamo nulla di dove e quando siamo. Tuttavia, il contesto reale storico della sua uscita, esattamente nel periodo della fase finale della Guerra Fredda, datata 1947-1991, in pieno governo di Ronald Reagan, rende difficile ignorare le ovvie ispirazioni culturali e sociali che possono aver spinto alla creazione del titolo. Il giocatore osserva il mondo attraverso uno schermo verde, simile a quelli dei reali sistemi radar e di puntamento dell’epoca, ed interagisce con nemici ridotti a sagome geometriche. La guerra diventa così una questione di distanza, calcolo e precisione, anticipando una rappresentazione “asettica” del conflitto che diventerà sempre più comune nei media digitali. Non è casuale, in questo senso, l’interesse dimostrato appunto dall’Esercito Statunitense per il potenziale di addestramento del gioco. Anche se il Progetto Bradley Trainer non è mai diventato una reale applicazione, il solo fatto
che un videogioco Arcade potesse essere considerato uno strumento di simulazione serio segnala un cambio di paradigma, ovvero che il videogioco non è più solo intrattenimento, ma modello semplificato di sistemi complessi.

L’edizione per ATARI VCS ci mostra il titolo con tradizionale grafica bitmap

Battlezone, pietra miliare ludica o visionario precursore?
Battlezone è un’opera difficile da catalogare, poiché di fatto non crea un genere, ma si limita a riproporre con linguaggi visivi nuovi concetti già esistenti. Il concept di base del classico Combat, del 1977, che a sua volta riprende l’ancora più antico TANK del 1974. Ma del resto Tempest di Dave Theurer del 1981 non può essere considerato una sorta di Space Invaders con visuale 3D? Certo, perché ormai negli anni ottanta i videogiochi sono talmente evoluti e maturi che iniziano a citare le opere degli anni settanta, evolvendo i concetti base. L’arte, in fondo, è continua evoluzione e riciclo periodico dei suoi asset fondanti. Battlezone va visto quindi come un visionario precursore piuttosto che come un’opera compiuta secondo i parametri contemporanei. Eppure, è proprio questa sua natura incompleta, sperimentale, affamato di linguaggi visivi nuovi, a renderlo storicamente rilevante. Battlezone non cerca di raccontare una storia, ma di costruire una prospettiva. Non offre un mondo credibile, ma un punto di vista coerente. In questo senso, il suo contributo principale non è tanto ludico quanto epistemologico. L’opera insegna al giocatore come “vedere” uno spazio virtuale. A vivere dentro una simulazione perfetta, similmente al film TRON. Battlezone non è mai diventato una vera e propria saga, purtroppo. Il titolo originale Arcade si basa su una meccanica tutto sommato semplice, dotata di processore MOS 6502, chip audio, POKEY,
Schermo Vettoriale e risoluzione di soli 256×231 pixel, facilmente realizzabile sui sistemi casalinghi . Il gioco è arrivato, tra il 1983 ed il 1988 sui maggiori computer contemporanei, IBM PC DOS, Apple II, Commodore 64 e VIC-20, Sinclair ZX Spectrum, Atari 8-bit ed ST, oltre che su console VCS e sull’ibrido Atari XEGS. Non mancano riedizioni portatili per Game Boy, Lynx e PSP, esiste pure un sequel ufficiale pubblicato da Activision nel 1999, purtroppo poco considerato da critica e pubblico, ed n occasione del suo trentennale, nel 2010, Battlezone è poi risorto su PC Windows ed Xbox 360 ed una spettacolare edizione per Nintendo 64. Le successive reinterpretazioni dell’opera, in particolare quelle degli anni Novanta, hanno unito grafica poligonale ed elementi strategici, dimostrano quanto l’idea originale fosse fertile, pur rimanendo legata a un contesto tecnologico specifico. Notevole il clone SPECTRE del 1991. Una delle versioni moderne più affascinanti esce nel 2016 sviluppato da Rebellion per PlayStation VR ed Oculus Rift, in Realtà Virtuale. Il titolo arriva anche su Xbox One e Nintendo Switch col nome di Battlezone God Edition, Il Battlezone originale del 1980 resta però insostituibile come documento storico: una fotografia di un momento in cui il videogioco sta smettendo di essere un esperimento ed iniziava, lentamente, a diventare un linguaggio.

La spettacolare riedizione per Playstation VR in Realtà Virtuale

 

Mettete fiori nei vostri cannoni vettoriali, la filosofia che non ti aspetti
Riletto oggi, Battlezone è sicuramente meno un titolo da giocare, per quanto ludicamente fresco e valido, e più un’opera multimediale interattiva da studiare. Un punto di origine, una linea verde tracciata nello spazio nero di uno schermo vettoriale, da cui si diramano molte delle forme che definiscono ancora il videogioco contemporaneo. L’eredità culturale di Battlezone è ampia e duratura. Il suo approccio alla visuale in prima persona ha influenzato di fatto generazioni di sviluppatori e può essere considerato un antenato diretto delle opere in 3D moderne. Oggi Battlezone è ricordato come uno dei titoli simbolo dell’epoca d’oro delle sale giochi, ma anche come un esempio di come i limiti tecnologici possano diventare motore di creatività. In un’industria spesso ossessionata dal fotorealismo, il gioco di ATARI resta una lezione di design essenziale: poche linee, un’idea forte ed un’esperienza capace di attraversare i decenni.
A ben quarantacinque anni dalla sua uscita, Battlezone di Ed Rotberg non è solo un pezzo di storia videoludica, ma la testimonianza di un momento in cui il futuro del videogioco comincia a prendere forma, un vettore alla volta. E tuttora il suo fascino visivo e ludico resta inalterato! Diversi artisti contemporanei hanno spesso citato il gioco nelle loro opere grafiche, come Chrisjan Peterse, autore del disegno di copertina dell’articolo che state leggendo. Nel contesto storico, la grafica vettoriale rappresenta uno dei primi tentativi di tradurre lo spazio matematico in esperienza visiva interattiva. Una scelta altamente artistica,quindi, in cui abbiamo la perfetta commistione tra tecnologia, ideologia e nascita dello sguardo tridimensionale, Il mondo vettoriale futuristico di Battlezone, non è solo una scelta tecnica, ma un vero e proprio linguaggio visivo moderno, capace di suggerire profondità, controllo e tensione con pochissimi elementi visivi ed una narrazione fatta solo di
immagini . Tramutandosi presto da semplice videogame in icona visiva multimediale.

Firma
Fabio D’Anna

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